Riflessioni

 

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Già da Nairobi e lungo le tappe del percorso si ha modo di osservare e conoscere le mille sfumature della povertà, ma quando arrivi a Sololo ti rendi conto di aver oltrepassato i confini del mondo, della possibilità di comunicare o far percepire le dimensioni della difficoltà che vive questo popolo: i Borana.

Quello che va in onda nei dintorni è un’ emergenza cronica, con un carico di severa siccità che scatena una quotidiana lotta alla sopravvivenza ed un insostenibile senso di impotenza generato dagli imprevisti, dalle attese disattese, dall’incertezza, dai mancati appuntamenti.

C’è un “Progetto Sololo” che è trainante e che esprime il senso di continuità dell’esistenza, pensato e costruito nell’ottica tradurre la disperazione in sfida, non per nulla qui all’Obbitu Children Village ci sono “gli ultimi tra gli ultimi” , gli orfani di tutto, che in questa situazione hanno avuto l’occasione di reagire agli eventi traumatici della loro vita per riorganizzarla positivamente, hanno scoperto uno spazio dove ripristinare la loro dimensione e struttura secondo la cultura a cui appartengono.

Gli effetti di questo incontro si vedono già nel mutare dei loro sguardi e sorrisi: ci sono ancora le tracce di storie pesanti e difficili, ma c’è la risposta giocosa alla vita , c’è la voglia di farcela e la motivazione a riuscire bene, l’ambizione di essere il primo a scuola o l’aspirazione a capo del villaggio per chi già si considera “il piccolo Pino”.

C’è un pensiero che si traduce in azione-riflessione, c’è la capacità di pensare in termini di previsione, c’è un monitoraggio attento della situazione attraverso la raccolta e la condivisione dei bisogni urgenti, il confronto sulle risposte da dare, il dialogo tra logiche e culture diverse.

C’è attenzione quotidiana al problema e alla pianificazione: “Situazione autocisterne in arrivo: una rotta, forse da Nairobi ne recuperiamo una da 16000 litri (se mantengono la promessa) , un viaggio a ogni villaggio di questa zona, almeno 6 viaggi per arrivare alle piogge di Aprile; ‘qui al villaggio’ riempiamo tutto, 1 Tank sopra e uno sotto, prima usiamo quello sotto poi quello sopra, così quello sotto rimane libero per l’arrivo delle piogge”. Arrivano le cisterne dove stoccare l’acqua da distribuire alle famiglie più povere; si confida che arrivi anche l’autocisterna.

C’è un territorio a partire da Sololo Makutana fino a Sololo Town che da lì si dirama sulle due braccia di una Y : si fa il conto delle famiglie di Ramolle, Sololo, sul lato sinistro Annona, Gololle, Uran , sul ramo destro Madbo Adhi, Waye Goda . Si contano i pozzi che funzionano e che non funzionano o vanno in esaurimento. A Waye Goda è disponibile una gerica ogni 3 giorni.

Anche qui durante le visite domiciliari gli incontri ti ammutoliscono e disarmano: carcasse di mucche , un pastore che ti chiama disperato chiedendo aiuto per rialzare le sue mucche che sono a terra e si lasciano morire, capanne vuote perché le donne camminano per 40 chilometri su per la montagna verso l’Etiopia in cerca d’acqua , un pastore che sta scuoiando una mucca morta, ed altro ancora.

E’ costante l’obbligo a una scelta giustificata da criteri rigorosi: le possibili soluzioni da attivare in risposta all’emergenza perché occorre fare i conti con le risorse , coloro che in un elenco di persone possono accedere alle scorte d’acqua del progetto perché “ciò che si può dare” è la quantità d’acqua reperibile al momento, a quale tra le tante donne che camminano sotto il sole con le taniche dare un passaggio.

Questo è il prezzo da pagare perché l’acqua non è più considerata un bene ed un diritto umano naturale e fondamentale, come il cibo, come la salute soprattutto in questa parte del mondo.

Ma soprattutto c’è la convinzione e la fiducia che l’uomo possa crescere, possa dare quel pezzettino in più che lo porti oltre il suo livello di possibilità del momento, che gli consenta di affrontare condizioni che deformano e invadono la tradizionale struttura sociale della sua tribù e che gli permetta di trovare la forza e le risorse per affermarsi senza dover sacrificare la propria cultura e le proprie usanze