Quasi 40 anni separano il CCM dal suo primo
impatto con la medicina dei Paesi Poveri. Ne sono uno dei responsabili.
In questi anni la attuazione di interventi di medicina ha continuato,
senza eccezioni, a rappresentare una sfida formidabile per il CCM.
La medicina dei PVS ha molte singolarità, quali in primis la
ampiezza multispecilaistica delle competenze richieste e le difficoltà
legate alla limitatezza e precarietà delle risorse. E’
una medicina, soltanto all’apparenza “selvaggia” e
rudimentale, invece codificata dallo studio di autorevolissimi ricercatori,
soprattutto inglesi, e onorata dal sacrificio dei moltissimi che vi
hanno dedicato la vita intera. Ma non vorrei trattare di aspetti tecnici.
Stasera vorrei sottoporre all’Assemblea una riflessione e alcuni
concetti relativi al processo logico che conduce a fare volontariato
nei Paesi in Via di Sviluppo (PVS), cioè alcune delle ragioni
di coloro che hanno fatto questa scelta. E’ un universo di cui
il CCM è soltanto una rappresentanza.
Devo a Pascal Bruckner (”Il singhiozzo dell’uomo bianco”)
la razionalizzazione moderna di molti concetti suesposti, miei da sempre,
ma mai così chiari.
1. La tragedia dei paesi poveri
1.1 Siamo di fronte al più
grande genocidio della storia umana. Un campo di sterminio permanente.
Nessuna calamità naturale, nessuna guerra, nessuno sterminio di
popoli, nessuna pandemia ha mai mietuto tante vittime quante la fame e
la povertà. Il fatto è stranoto, ma la sovraesposizione
a immagini strappate senza pudore alla dignità delle persone, con
l’escalation a accentuarne l’orrore, infastidiscono, banalizzano
la commozione e finiscono con il renderci indifferenti alla sofferenza
umana.
1.2. La visione dal vivo è
diversa e più forte, ma la abissale disuguaglianza fra la nostra
condizione e la loro pare incolmabile. Entrano allora in azione gli alibi:
inutilità di ogni azione, fugacità dei suoi risultati, effetti
collaterali negativi, le cause del sottosviluppo tuttora non chiare tanto
che si ritiene necessaria un’ulteriore ricerca su questo tema. Il
dramma della povertà risulta così grande che nulla di utile
pare fattibile. Così l’umanità disperata e sofferente
diventa invisibile.
1.3. E’ vero, non ne siamo colpevoli, ma responsabili sì,
perché traiamo vantaggio dal sistema globale di ingiustizia, che
continua a fare strage fra l’umanità povera senza neanche
averne coscienza. Per tacere dell’entità delle spese militari
di noi Paesi ricchi.
2. La Solidarietà
generalizzata è sterile
Come persone “civili” e come medici, che più di ogni
altro viviamo a contatto con la sofferenza umana, non possiamo fingere
di non sapere. I milioni di crocifissi viventi oppongono la loro tragedia
ai nostri progressi medici, sfidano il lusso dei nostri congressi e le
nostre tavole imbandite. La nostra prosperità è un privilegio
immeritato. Abbiamo forse il diritto esclusivo di godere dei mille comfort
della modernità?
Come restare insensibili alla sofferenza di tanta gente? Che cosa fare
di fronte a questo martirologio infinito? Non possiamo non sentirci solidali,
ma la compassione non è sufficiente.
3. L’appello
evangelico e universale al soccorso dell’Altro
Peraltro, in fondo, perché
dovremmo aiutare queste persone che sono straniere, lontane, che non conosciamo?
La ovvia risposta è l’imperativo categorico, “Il riconoscimento
dell’umanità in ogni uomo significa il riconoscimento della
pluralità umana...”(R.Aron). E’ la meraviglia e il
prodigio dell’alterità, dell’estraneità. E’
l’Altro, lo Straniero, il Lontano, il Prossimo del buon samaritano
per i Cristiani, che ci interpella. Ha bisogno di noi, come noi inconsciamente
abbiamo bisogno di lui. Per fare passare come inosservata questa povertà
silenziosa, dovremmo procedere “a colpi di rimozione. Ma il rimosso
ritorna come atrofizzazione del nostro cuore…Bisogna inventarsi
un mondo diverso da quello che è.. con un processo di falsificazione
che alla fine diventa la falsificazione di una vita.”(U. Galimberti).
E all’Altro nel bisogno siamo grati, come tutti i soccorritori sono
grati alla persona salvata. E’ la gratitudine dei medici verso i
loro pazienti guariti. E’ la nostra gratitudine, del CCM, per quel
poco che facciamo per i Poveri Lontani. La superiore bellezza del dono
fatto rispetto al dono ricevuto.
4. La solidarietà
per essere concreta deve essere focalizzata (P. Bruckner)
Il compito di sradicare la
povertà, prima causa della tragedia sanitaria dei PVS, risulta
così grande che potrà risultare soltanto da una forte azione
politica internazionale. Nulla di radicalmente utile è fattibile
dal singolo o da gruppi e movimenti. Nessuna associazione, ONG, Agenzia
delle Nazioni Unite può pensare di risolvere il problema globale
della povertà dei PVS. Quindi una solidarietà generalizzata
è sterile. Nessuna solidarietà può essere universale.
Ma, un momento: corrisponde esattamente alla impossibilità a imparare
tutte le lingue, conoscere tutte le culture, abbracciare tutte le cause,
stare ubiquitariamente in tutti i luoghi, avere per amici tutti gli uomini.
Ma avere per amici, oltre alle persone vicine, altre lontane e avere una
seconda patria, una patria elettiva, “del cuore”, lontana
migliaia di Km (geografia “affettiva”) significa dare concretezza
alla solidarietà e, nello stesso tempo, ampliare il proprio universo
al di fuori di noi stessi, oltre i confini delle frontiere e delle razze.
Sono amico dell’uomo soltanto quando ne aiuto qualcuno. Questa parzialità
è precondizione dell’efficacia dell’azione (P.Bruckner).
Concentrare l’azione in un’area permette di non cadere negli
sterili slanci retorici. Donare un euro al miliardo di poveri “assoluti”
costa un miliardo di euro, ma non serve a nessuno.
La solidarietà seria è un’azione che deve essere portata
là dove serve. La solidarietà deve essere focalizzata ad
una o più aree geografiche precise e a sfere circoscritte di relazioni
umane. Allora fare volontariato in Africa vuole dire andare ad incontrare
l’Altro, il nostro Prossimo Lontano, là dove lui vive. Non
fuga, evasione, pretesto per lasciare qualcosa, ma ricerca dell’Altro
per soccorrerlo.
5. Come scegliere
la propria azione?
Come uscire dallo stagno-palude
della esistenza individuale sempre uguale? Come affrontare il mare aperto
per approdare su nuove spiagge perché là c’è
da fare qualcosa di essenziale per amici lontani, umani come noi? Qualcosa
che, fra l’altro, può dare significato alla nostra vita.
Per la scelta dell’azione non bastano la buona volontà e
la generosità: ci vuole una predilezione spontanea per persone
e luoghi diversi, anche se privi di ogni attrattiva reale. Nessuna solidarietà
può essere imposta, deve essere scelta spontaneamente perché
diventi vita, impegno che richiede costanza e fedeltà nel tempo.
Incontrare questa scelta è una questione di fortuna, ma la fortuna
la si può cercare. Richiede una ricerca e un impegno. Le possibilità
non mancano: sono circa duecento le ONG italiane, poi ci sono le fortissime
ONG straniere (MSF, Save the children fund, Oxfam, ecc.).
La nostra azione è un dono che va trasferito senza essere mercificato,
non è un prodotto che si vende e si compra, non lo si deve pesare
in base all’immagine e alla visibilità. Quindi dobbiamo radicare
la nostra azione in una data area senza interessarci dei media. Il loro
“sensazionalismo” non deve condizionare la scelta. Lo spessore
delle notizie delle calamità non durano a lungo, tanto che poco
dopo scompaiono dai media, anche se i fatti persistono invariati nel tempo,
esattamente come la tragedia della fame nel mondo povero.
6. Doppie fedeltà
6.1 La conciliabilità,
la non contrapposizione, di alcune doppie fedeltà (P.Bruckner)
è il filo conduttore di ogni scelta di impegno personale concreto
nel Mondo Povero.
Le radici “domestiche”, di cui abbiamo assoluto bisogno, non
si devono strappare, ma non obbligano a restare attaccati al nostro mondo
come un crostaceo alla sua roccia. Avere una sola cultura è meno
ricco che avere più culture. Nessuna lingua imparata sarà
mai posseduta come la lingua madre, così come l’Altro sarà
sempre diverso. Ma avere molteplici fedeltà, conoscere lingue,
culture e costumi arricchisce il proprio patrimonio di conoscenze.
6.2. Questo si applica in
modo particolare alla medicina: mai esportare la medicina occidentale
nei PVS, ma il lavoro medico in questi paesi insegna, è formativo,
può essere il patrimonio di esperienze su cui si costruisce la
propria sicurezza professionale. L’ampiezza delle competenze della
Medicina Povera, che coprono grandi ambiti della medicina curativa e preventiva,
la versatilità multispecialistica delle procedure, l’affinamento
della diagnostica clinica imposto dalla povertà delle possibilità
diagnostiche di laboratorio, strumentali e di immagine, l’eclettismo
delle tecniche medico-chirurgiche che si è costretti a imparare,
si confrontano con il superspecialismo e l’inarrestabile tecnicismo
della medicina moderna. L’opportunità di lasciare il lavoro
di sempre arricchisce il sapere medico. Non c’è bisogno di
perdere la memoria del lavoro e dello studio fatti finora qui: non c’è
contrapposizione, anzi c’è spazio per entrambi e tante e
ampie possibili sinergie. Mai si deve opporre la medicina occidentale
a quella dei PVS.
Si può vivere in mondi professionali diversi, fatto che, d’altronde,
è sempre più frequente destino dell’uomo moderno.
7. Una duplice
posizione: criticismo e adesione
L’obiettività ci impone nei confronti di molti Paesi Poveri
un duplice atteggiamento, quello dell’adesione e quello della contestazione.
I media continuano a riportare fatti di repressione, corruzione, tribalismo
e violazione di ogni diritto. Eppure l’impegno alla perseveranza
ci obbliga ad una lettura benevola, ad una denuncia alleggerita da tutte
le attenuanti possibili. Nessuna evidenza ci fa allontanare, nessuna indignazione
può/deve dissuadere la propensione per questa gente e questi Paesi.
L’Africa degli scontri tribali e degli slum, desolati ricettacoli
di ogni piaga sociale, tema prediletto di giornali e TV, è una
squallida maschera della grandezza dell’Africa povera, delle sue
donne stremate dalle fatiche, dei suoi bambini affamati. L’africanismo
e il terzomondismo esigono un’adesione morale che può essere
garantita soltanto da un amore profondo, seppure altalenante fra rispetto
e indignazione.
D’altronde ogni appartenenza (politica, religiosa, a qualunque gruppo
e famiglia) obbliga spesso a questa doppia posizione, di disapprovazione
all’interno e di difesa verso l’esterno.
La suddetta “bipolarità” è affine alla doppia
fedeltà alla propria gente e e alla seconda patria, quella “di
elezione”. E che corrisponde alla doppia affiliazione, alla medicina
occidentale e a quella dei Paesi Poveri.
8. Medesima “bipolarità”
verso il nostro lavoro
La stessa dicotomia di critica
e di benevolenza dobbiamo avere verso il nostro lavoro nei PVS. Lo sguardo
“insider” ci permette di accettare un lavoro di basso profilo
che, invece, è assolutamente inaccettabile ad altri, esterni, gli
“outsider” che non hanno alcuna idea della gravità
della situazione socio-economica e sanitaria di questi paesi. Tuttavia
si possono ammettere i limiti soltanto nella musura in cui sono insuperabili.
Non rassegnata acquiescenza, ma impegno fattivo a migliorare. L’amore
per una medicina “povera” e per la “Primary Surgery”
non giustifica un’accettazione arrendevole di inammissibili condizioni
e modi di lavoro medico. Il ricorso di principio a una “tecnologia
appropriata” mira a dare dignità alle povertà locali,
utilizzando, per esempio, come ospedali le strutture rudimentali costruite
dalle comunità. Ma nel frattempo si allestiscono strutture permanenti.
Nessuna leggerezza e superficialità è ammissibile perchè
mette a rischio il più indifeso dei pazienti, per il quale noi
siamo, e al quale dobbiamo, la massima protezione. Il nostro lavoro, anche
quando di basso profilo, deve sempre crescere, perché “la
mandria che non cresce diminuisce”, come dice un proverbio dei pastori
africani (A. Salza). Ma, attenzione: la crescita può avvenire in
due dimensioni. Da anni siamo ammoniti a “non migliorare la qualità
del servizio prima di estendere la sua copertura”, not upgrade the
standard, complexity and amenity of medical care before extending its
coverage”(M. King).
9. La nostra
azione in Sudan come esempio che conosco nel concreto
Temo retorica, moralismi,
trionfalismi e banalità (il silenzio e il riserbo sono più
eloquenti di tante parole), ma non posso non esporre, come esempio di
quanto sopra, il lavoro del CCM in Sudan.
Il CCM non risolve la tragedia sanitaria del Sottosviluppo nè la
fame nel mondo. Semplicemente cerca di portare servizi medici essenziali
ad alcune fra le comunità più svantaggiate e remote. Il
loro coinvolgimento diretto mira a innescare processi di autosviluppo
di cui le comunità stesse siano protagoniste, non semplici esecutori.
E’ una scelta di campo: stare con l’umanità diseredata,
quella che fame, malattie, ignoranza, mortalità infantile e materna,
degrado igienico schiacciano al di sotto di ogni definizione di dignità
umana. Disegnare insieme dei progetti, collaborare nel realizzarne alcuni
frammenti, in una rete semplice di rapporti personali diretti.
Cerchiamo in tutti i modi di fare crescere il nostro personale, promuovendo
l’istruzione scolastica e insegnando sul lavoro cure mediche di
base.
Il nostro lavoro è centrato sul contatto diretto con le persone,
sullo stare vicino alla gente, sulla condivisione, anche se limitata nel
tempo, delle tribolazioni e dei pericoli che loro vivono ogni giorno,
perché questa prossimità ci assimila e ci dà capacità
di ascolto, che poi diventa rispetto della dignità delle persone.
Il cuore della nostra azione è il lavoro medico sul campo, l’amicizia
con le persone, gli atti concreti del curare, lo stare “con”
loro.
Nell’adesione ai principi di Maurice King, Medical Care in Developing
Countrie:
“La cosa corretta da fare prima di tutto è costruire unità
periferiche nel modo più economico, the correct thing to do is
to build up peripheral units first with the cheapest possibile methods
of construction”. “La qualità del servizio sanitario
non deve essere giudicata dallo splendore o dalla umiltà delle
costruzioni, The quality of medical care must never be judged either from
the splendor or the humility of the buildings” (M. King).
Nonostante i nostri limiti abbiamo fiducia nella nostra gente e nella
nostra strategia di lavoro e non abbiamo difficoltà a testimoniare
la speranza: “Sorgerà un’alba anche per loro”
(P. Veronese) e quel giorno anche i Poveri del mondo avranno il livello
di cure che cerchiamo di dare ai nostri figli...! |