Comitato Collaborazione Medica. Assemblea 2008
Torino, 25 giugno 2008
 
Giuseppe Meo
Ad introduzione dell’assemblea il Prof. Meo ragiona con i presenti sui motivi per cui ha compiuto , anni fa, la scelta personale di adoperarsi come medico nei paesi poveri: le ragioni etiche della scelta di campo e la doppia fedeltà di medico – non inconciliabile - al proprio background tecnico ed al mondo povero.
(CHIRURGIA REMOTA - dal Rapporto del Prof. Giuseppe Meo)
(RAI-la liberazione del Prof . Giuseppe Meo dopo il suo sequestro)

Le ragioni di una scelta
 

Quasi 40 anni separano il CCM dal suo primo impatto con la medicina dei Paesi Poveri. Ne sono uno dei responsabili. In questi anni la attuazione di interventi di medicina ha continuato, senza eccezioni, a rappresentare una sfida formidabile per il CCM.
La medicina dei PVS ha molte singolarità, quali in primis la ampiezza multispecilaistica delle competenze richieste e le difficoltà legate alla limitatezza e precarietà delle risorse. E’ una medicina, soltanto all’apparenza “selvaggia” e rudimentale, invece codificata dallo studio di autorevolissimi ricercatori, soprattutto inglesi, e onorata dal sacrificio dei moltissimi che vi hanno dedicato la vita intera. Ma non vorrei trattare di aspetti tecnici.
Stasera vorrei sottoporre all’Assemblea una riflessione e alcuni concetti relativi al processo logico che conduce a fare volontariato nei Paesi in Via di Sviluppo (PVS), cioè alcune delle ragioni di coloro che hanno fatto questa scelta. E’ un universo di cui il CCM è soltanto una rappresentanza.
Devo a Pascal Bruckner (”Il singhiozzo dell’uomo bianco”) la razionalizzazione moderna di molti concetti suesposti, miei da sempre, ma mai così chiari.


1. La tragedia dei paesi poveri

1.1 Siamo di fronte al più grande genocidio della storia umana. Un campo di sterminio permanente. Nessuna calamità naturale, nessuna guerra, nessuno sterminio di popoli, nessuna pandemia ha mai mietuto tante vittime quante la fame e la povertà. Il fatto è stranoto, ma la sovraesposizione a immagini strappate senza pudore alla dignità delle persone, con l’escalation a accentuarne l’orrore, infastidiscono, banalizzano la commozione e finiscono con il renderci indifferenti alla sofferenza umana.

1.2. La visione dal vivo è diversa e più forte, ma la abissale disuguaglianza fra la nostra condizione e la loro pare incolmabile. Entrano allora in azione gli alibi: inutilità di ogni azione, fugacità dei suoi risultati, effetti collaterali negativi, le cause del sottosviluppo tuttora non chiare tanto che si ritiene necessaria un’ulteriore ricerca su questo tema. Il dramma della povertà risulta così grande che nulla di utile pare fattibile. Così l’umanità disperata e sofferente diventa invisibile.

1.3. E’ vero, non ne siamo colpevoli, ma responsabili sì, perché traiamo vantaggio dal sistema globale di ingiustizia, che continua a fare strage fra l’umanità povera senza neanche averne coscienza. Per tacere dell’entità delle spese militari di noi Paesi ricchi.


2. La Solidarietà generalizzata è sterile

Come persone “civili” e come medici, che più di ogni altro viviamo a contatto con la sofferenza umana, non possiamo fingere di non sapere. I milioni di crocifissi viventi oppongono la loro tragedia ai nostri progressi medici, sfidano il lusso dei nostri congressi e le nostre tavole imbandite. La nostra prosperità è un privilegio immeritato. Abbiamo forse il diritto esclusivo di godere dei mille comfort della modernità?
Come restare insensibili alla sofferenza di tanta gente? Che cosa fare di fronte a questo martirologio infinito? Non possiamo non sentirci solidali, ma la compassione non è sufficiente.


3. L’appello evangelico e universale al soccorso dell’Altro

Peraltro, in fondo, perché dovremmo aiutare queste persone che sono straniere, lontane, che non conosciamo? La ovvia risposta è l’imperativo categorico, “Il riconoscimento dell’umanità in ogni uomo significa il riconoscimento della pluralità umana...”(R.Aron). E’ la meraviglia e il prodigio dell’alterità, dell’estraneità. E’ l’Altro, lo Straniero, il Lontano, il Prossimo del buon samaritano per i Cristiani, che ci interpella. Ha bisogno di noi, come noi inconsciamente abbiamo bisogno di lui. Per fare passare come inosservata questa povertà silenziosa, dovremmo procedere “a colpi di rimozione. Ma il rimosso ritorna come atrofizzazione del nostro cuore…Bisogna inventarsi un mondo diverso da quello che è.. con un processo di falsificazione che alla fine diventa la falsificazione di una vita.”(U. Galimberti).
E all’Altro nel bisogno siamo grati, come tutti i soccorritori sono grati alla persona salvata. E’ la gratitudine dei medici verso i loro pazienti guariti. E’ la nostra gratitudine, del CCM, per quel poco che facciamo per i Poveri Lontani. La superiore bellezza del dono fatto rispetto al dono ricevuto.


4. La solidarietà per essere concreta deve essere focalizzata (P. Bruckner)

Il compito di sradicare la povertà, prima causa della tragedia sanitaria dei PVS, risulta così grande che potrà risultare soltanto da una forte azione politica internazionale. Nulla di radicalmente utile è fattibile dal singolo o da gruppi e movimenti. Nessuna associazione, ONG, Agenzia delle Nazioni Unite può pensare di risolvere il problema globale della povertà dei PVS. Quindi una solidarietà generalizzata è sterile. Nessuna solidarietà può essere universale.
Ma, un momento: corrisponde esattamente alla impossibilità a imparare tutte le lingue, conoscere tutte le culture, abbracciare tutte le cause, stare ubiquitariamente in tutti i luoghi, avere per amici tutti gli uomini.
Ma avere per amici, oltre alle persone vicine, altre lontane e avere una seconda patria, una patria elettiva, “del cuore”, lontana migliaia di Km (geografia “affettiva”) significa dare concretezza alla solidarietà e, nello stesso tempo, ampliare il proprio universo al di fuori di noi stessi, oltre i confini delle frontiere e delle razze. Sono amico dell’uomo soltanto quando ne aiuto qualcuno. Questa parzialità è precondizione dell’efficacia dell’azione (P.Bruckner).
Concentrare l’azione in un’area permette di non cadere negli sterili slanci retorici. Donare un euro al miliardo di poveri “assoluti” costa un miliardo di euro, ma non serve a nessuno.
La solidarietà seria è un’azione che deve essere portata là dove serve. La solidarietà deve essere focalizzata ad una o più aree geografiche precise e a sfere circoscritte di relazioni umane. Allora fare volontariato in Africa vuole dire andare ad incontrare l’Altro, il nostro Prossimo Lontano, là dove lui vive. Non fuga, evasione, pretesto per lasciare qualcosa, ma ricerca dell’Altro per soccorrerlo.


5. Come scegliere la propria azione?

Come uscire dallo stagno-palude della esistenza individuale sempre uguale? Come affrontare il mare aperto per approdare su nuove spiagge perché là c’è da fare qualcosa di essenziale per amici lontani, umani come noi? Qualcosa che, fra l’altro, può dare significato alla nostra vita.
Per la scelta dell’azione non bastano la buona volontà e la generosità: ci vuole una predilezione spontanea per persone e luoghi diversi, anche se privi di ogni attrattiva reale. Nessuna solidarietà può essere imposta, deve essere scelta spontaneamente perché diventi vita, impegno che richiede costanza e fedeltà nel tempo. Incontrare questa scelta è una questione di fortuna, ma la fortuna la si può cercare. Richiede una ricerca e un impegno. Le possibilità non mancano: sono circa duecento le ONG italiane, poi ci sono le fortissime ONG straniere (MSF, Save the children fund, Oxfam, ecc.).
La nostra azione è un dono che va trasferito senza essere mercificato, non è un prodotto che si vende e si compra, non lo si deve pesare in base all’immagine e alla visibilità. Quindi dobbiamo radicare la nostra azione in una data area senza interessarci dei media. Il loro “sensazionalismo” non deve condizionare la scelta. Lo spessore delle notizie delle calamità non durano a lungo, tanto che poco dopo scompaiono dai media, anche se i fatti persistono invariati nel tempo, esattamente come la tragedia della fame nel mondo povero.


6. Doppie fedeltà

6.1 La conciliabilità, la non contrapposizione, di alcune doppie fedeltà (P.Bruckner) è il filo conduttore di ogni scelta di impegno personale concreto nel Mondo Povero.
Le radici “domestiche”, di cui abbiamo assoluto bisogno, non si devono strappare, ma non obbligano a restare attaccati al nostro mondo come un crostaceo alla sua roccia. Avere una sola cultura è meno ricco che avere più culture. Nessuna lingua imparata sarà mai posseduta come la lingua madre, così come l’Altro sarà sempre diverso. Ma avere molteplici fedeltà, conoscere lingue, culture e costumi arricchisce il proprio patrimonio di conoscenze.

6.2. Questo si applica in modo particolare alla medicina: mai esportare la medicina occidentale nei PVS, ma il lavoro medico in questi paesi insegna, è formativo, può essere il patrimonio di esperienze su cui si costruisce la propria sicurezza professionale. L’ampiezza delle competenze della Medicina Povera, che coprono grandi ambiti della medicina curativa e preventiva, la versatilità multispecialistica delle procedure, l’affinamento della diagnostica clinica imposto dalla povertà delle possibilità diagnostiche di laboratorio, strumentali e di immagine, l’eclettismo delle tecniche medico-chirurgiche che si è costretti a imparare, si confrontano con il superspecialismo e l’inarrestabile tecnicismo della medicina moderna. L’opportunità di lasciare il lavoro di sempre arricchisce il sapere medico. Non c’è bisogno di perdere la memoria del lavoro e dello studio fatti finora qui: non c’è contrapposizione, anzi c’è spazio per entrambi e tante e ampie possibili sinergie. Mai si deve opporre la medicina occidentale a quella dei PVS.
Si può vivere in mondi professionali diversi, fatto che, d’altronde, è sempre più frequente destino dell’uomo moderno.


7. Una duplice posizione: criticismo e adesione

L’obiettività ci impone nei confronti di molti Paesi Poveri un duplice atteggiamento, quello dell’adesione e quello della contestazione. I media continuano a riportare fatti di repressione, corruzione, tribalismo e violazione di ogni diritto. Eppure l’impegno alla perseveranza ci obbliga ad una lettura benevola, ad una denuncia alleggerita da tutte le attenuanti possibili. Nessuna evidenza ci fa allontanare, nessuna indignazione può/deve dissuadere la propensione per questa gente e questi Paesi. L’Africa degli scontri tribali e degli slum, desolati ricettacoli di ogni piaga sociale, tema prediletto di giornali e TV, è una squallida maschera della grandezza dell’Africa povera, delle sue donne stremate dalle fatiche, dei suoi bambini affamati. L’africanismo e il terzomondismo esigono un’adesione morale che può essere garantita soltanto da un amore profondo, seppure altalenante fra rispetto e indignazione.
D’altronde ogni appartenenza (politica, religiosa, a qualunque gruppo e famiglia) obbliga spesso a questa doppia posizione, di disapprovazione all’interno e di difesa verso l’esterno.
La suddetta “bipolarità” è affine alla doppia fedeltà alla propria gente e e alla seconda patria, quella “di elezione”. E che corrisponde alla doppia affiliazione, alla medicina occidentale e a quella dei Paesi Poveri.


8. Medesima “bipolarità” verso il nostro lavoro

La stessa dicotomia di critica e di benevolenza dobbiamo avere verso il nostro lavoro nei PVS. Lo sguardo “insider” ci permette di accettare un lavoro di basso profilo che, invece, è assolutamente inaccettabile ad altri, esterni, gli “outsider” che non hanno alcuna idea della gravità della situazione socio-economica e sanitaria di questi paesi. Tuttavia si possono ammettere i limiti soltanto nella musura in cui sono insuperabili. Non rassegnata acquiescenza, ma impegno fattivo a migliorare. L’amore per una medicina “povera” e per la “Primary Surgery” non giustifica un’accettazione arrendevole di inammissibili condizioni e modi di lavoro medico. Il ricorso di principio a una “tecnologia appropriata” mira a dare dignità alle povertà locali, utilizzando, per esempio, come ospedali le strutture rudimentali costruite dalle comunità. Ma nel frattempo si allestiscono strutture permanenti. Nessuna leggerezza e superficialità è ammissibile perchè mette a rischio il più indifeso dei pazienti, per il quale noi siamo, e al quale dobbiamo, la massima protezione. Il nostro lavoro, anche quando di basso profilo, deve sempre crescere, perché “la mandria che non cresce diminuisce”, come dice un proverbio dei pastori africani (A. Salza). Ma, attenzione: la crescita può avvenire in due dimensioni. Da anni siamo ammoniti a “non migliorare la qualità del servizio prima di estendere la sua copertura”, not upgrade the standard, complexity and amenity of medical care before extending its coverage”(M. King).


9. La nostra azione in Sudan come esempio che conosco nel concreto

Temo retorica, moralismi, trionfalismi e banalità (il silenzio e il riserbo sono più eloquenti di tante parole), ma non posso non esporre, come esempio di quanto sopra, il lavoro del CCM in Sudan.
Il CCM non risolve la tragedia sanitaria del Sottosviluppo nè la fame nel mondo. Semplicemente cerca di portare servizi medici essenziali ad alcune fra le comunità più svantaggiate e remote. Il loro coinvolgimento diretto mira a innescare processi di autosviluppo di cui le comunità stesse siano protagoniste, non semplici esecutori.
E’ una scelta di campo: stare con l’umanità diseredata, quella che fame, malattie, ignoranza, mortalità infantile e materna, degrado igienico schiacciano al di sotto di ogni definizione di dignità umana. Disegnare insieme dei progetti, collaborare nel realizzarne alcuni frammenti, in una rete semplice di rapporti personali diretti.
Cerchiamo in tutti i modi di fare crescere il nostro personale, promuovendo l’istruzione scolastica e insegnando sul lavoro cure mediche di base.
Il nostro lavoro è centrato sul contatto diretto con le persone, sullo stare vicino alla gente, sulla condivisione, anche se limitata nel tempo, delle tribolazioni e dei pericoli che loro vivono ogni giorno, perché questa prossimità ci assimila e ci dà capacità di ascolto, che poi diventa rispetto della dignità delle persone.
Il cuore della nostra azione è il lavoro medico sul campo, l’amicizia con le persone, gli atti concreti del curare, lo stare “con” loro.
Nell’adesione ai principi di Maurice King, Medical Care in Developing Countrie:
“La cosa corretta da fare prima di tutto è costruire unità periferiche nel modo più economico, the correct thing to do is to build up peripheral units first with the cheapest possibile methods of construction”. “La qualità del servizio sanitario non deve essere giudicata dallo splendore o dalla umiltà delle costruzioni, The quality of medical care must never be judged either from the splendor or the humility of the buildings” (M. King).
Nonostante i nostri limiti abbiamo fiducia nella nostra gente e nella nostra strategia di lavoro e non abbiamo difficoltà a testimoniare la speranza: “Sorgerà un’alba anche per loro” (P. Veronese) e quel giorno anche i Poveri del mondo avranno il livello di cure che cerchiamo di dare ai nostri figli...!