SOMALIA 17/3/2007 12.31
PRESIDENTE RIBADISCE RIFIUTO A TRATTARE CON CORTI ISLAMICHE
Una nuova chiusura sulla possibile partecipazione delle Corti Islamiche alla Conferenza di riconciliazione somala del mese prossimo è stata ribadita dal presidente del governo di transizione Abdullahi Yusuf. “Come possiamo permettere che partecipino alla conferenza di riconciliazione, mentre hanno ancora le mani sporche di sangue” ha detto Yusuf in un’intervista rilasciata ieri al quotidiano in lingua araba pubblicato a Londra, Asharq al Awsat. Dopo aver ribadito che nessun appartenente alle Corti islamiche ha alcun titolo per partecipare alla conferenza che aprirà a Mogadiscio il 16 aprile, Yusuf ha precisato che “non c’è posto per i terroristi all’interno del parlamento di riconciliazione nazionale”. La comunità internazionale ha recentemente moltiplicato le pressioni sul governo somalo perché apra alla corrente moderata delle Corti Islamiche, ritenendo che senza la loro partecipazione alla vita politica nazionale difficilmente sarà possibile ottenere la pacificazione del paese. Qualche timida apertura era stata fatta nei giorni scorsi dal primo ministro Mohamed Ali Gedi nel corso della presentazione del programma di preparazione della Conferenza di riconciliazione. Gedi aveva spiegato che esponenti delle Corti avrebbero potuto partecipare “insieme ai loro clan di appartenenza”, dal momento che la riunione è aperta a tutti i settori della società somala. Nell’intervista di ieri, della quale i media somali riportano oggi alcuni stralci, Yusuf invece cita le violenze in corso a Mogadiscio (attribuite dal capo di Stato proprio a miliziani delle Corti Islamiche ancora presenti in città) come principale ragione della loro esclusione dai colloqui. Martedì 16 persone sono morte e 30 sono rimaste ferite in un attacco lanciato da ignoti contro la sede della presidenza somala, a poche ore dal ritorno a Mogadiscio di Yusuf, dopo un’assenza di quasi un mese. La principale città della Somalia è teatro da settimane di attacchi, attentati e omicidi mirati che hanno causato la morte di oltre 150 persone, il ferimento di più di 500 e la fuga di oltre 40.000 civili. Se gli attacchi e gli attentati interessano soprattutto il governo di transizione e le forze di sicurezza collegate - inclusi i soldati etiopici - l’ondata di omicidi mirati iniziata a febbraio sembra riguardare soprattutto esponenti di spicco della comunità religiosa, intellettuale, economica di Mogadiscio. Pur non raggiungendo i livelli della ‘capitale’ di fatto della Somalia, l’insicurezza è alta anche nelle altre città somale, come dimostra la decisione presa dal governo della provincia del Basso Juba che ha ordinato alle proprie forze di sicurezza di “uccidere chiunque sia sospettato di rappresentare una minaccia alla sicurezza e alla pace” della provincia meridionale a ridosso del confine col Kenya. Recentemente oltre 2000 soldati etiopi hanno lasciato Kismaayo (terza città del paese e capoluogo della provincia del Basso Juba) e la sicurezza in città e nella zona è garantita dalle milizie locali. [MZ]
Copyright © MISNA
Riproduzione libera citando la fonte.
Inviare una copia come giustificativo a:
Redazione MISNA
Via Levico 14
00198 Roma
misna@misna.org