C'ERA UNA VOLTA

di Silvestro Montanaro
26.11.2013


I SENZA VERGOGNA

Li conosco i campi profughi della Repubblica democratica del Congo. E quelli del Sudan e di tanti altri paesi martoriati da guerre senza fine. Ho negli occhi un'umanità immensa, vestita di stracci sudici, macilenta, malata. Esposta al sole e alla pioggia, dentro "case" fatte di rifiuti e qualche logoro telo "umanitario". Dove tremar di freddo o sentirsi mancare il fiato per il caldo più puzzolente che abbia mai sentito.

Ho nel naso l'odore acre degli sterpi incendiati per cucinare qualche radice e un po' di erbe. Del piscio che scorre mischiandosi alla fanghiglia in ogni dove. Ho nelle orecchie il pianto delle madri per le creature volate via tra denutrizione, morbillo e mille accidenti intestinali.

Ricordo che bastava un fruscio di vento a far tremare i poveri giochi dei bambini, a riempire di paura gli occhi di tutti, innanzitutto delle donne più giovani. Un rumore poteva segnalare l'arrivo delle soldataglie. Altri morti, altri furti, altri stupri. Altro infinito orrore.

Ho nella mente buffoni vestiti da volontari. Belle macchine, le più belle ragazze del luogo, tanti soldi in tasca ed un gran parlare. Riunioni, statistiche, piani e poi, pausa pranzo, un bicchierino di quello buono, una regolata all'aria condizionata. Cialtroni, infami parassiti.

E poi tanti altri. Gente silenziosa, umile, burbera. Medici, infermieri, ingegneri, meccanici a darsi un gran da fare. Tra la gente dolente, con la gente. Con sul viso rabbia e vergogna, consapevolezza delle radici dell'orrore in cui operavano. Persone che inorridivano se gli dicevi che erano belle persone. Darsi da fare era per loro normale, normalissimo, non definiva santi. I santi erano altri, vestiti di paura e di stracci.

Ne ricordo uno, un dottore. Mai fermo, il volto teso. Da mesi gli era scaduto il contratto. Ed era restato con la sua gente, la sua famiglia. L'ho visto piangere una volta. Erano passati gli altri, i buffoni dell'umanitario.

"Quanti morti questa settimana?" "Sei...", aveva risposto lui.
E loro erano andati via. In base alle loro statistiche, quel campo non era un problema. Il numero critico era un altro. E lui piangeva, disperato. Li conosceva tutti quei sei morti. Per lui non erano numeri. Ne sapeva i nomi, le storie. Ne aveva raccolto i poveri sogni, l'ultimo sorriso e l'ultima lacrima prima che andassero via.

Il video diffuso da African Voices, uno spezzone di quella che potrebbe esser una puntata di Mission, lo strano programma di Rai 1 che dovrebbe avvicinare il grande pubblico al terribile problema dei profughi, se realmente andrà in onda, sarà offesa a chi vive la condizione di profugo e alla gente silenziosa e umile che ogni giorno si gioca il cuore e la vita insieme a loro.

Non e' un campo profughi quello. Quasi certamente e' un set ricreato ad arte per tener lontani i "vip" dall'orrore. Non spiega una, dico solo una, delle ragioni di quel disastro. Rende protagonisti un sedicente principe ed una soubrette che non ha avuto neanche il coraggio di rinunciare agli occhiali di gran marca che indossa. Costosi, tanto da costruirci 10 latrine in un vero campo profughi.

La Rai dice di non aver pagato al principino e agli altri compensi per quest'opera tanto " meritoria", al massimo un rimborso spese. Settecento, ottocento euro al giorno. Lo stipendio, da molti sognato, di tanti dei nostri ragazzi qui. Il reddito di due, tre, quattro o più anni per la gran parte della gente congolese.

"Pensa - dice uno dei due dopo aver spennellato un po' a favore di telecamera - per portare fin qui quella vernice, han dovuto viaggiare quattro giorni...". Informazione, hanno il coraggio di chiamar così questa macabra e volgare esibizione.

Ma Alice nel paese delle meraviglie non ha niente a che vedere con un campo profughi. Tantomeno questa Rai che ce l'ha mandata. Tantomeno Intersos che per far cassa sotto Natale si è prestata ad un'operazione del genere. I poveri hanno una sola ricchezza, la dignità. Hanno bisogna di giustizia, non di buffoni. Rispettateli.