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Usciamo con la nostra “clinica mobile”, fuoristrada vecchio di circa 30 anni, per recarci a vaccinare i bambini ad un villaggio non lontano più di 25 Km. L’appuntamento della nostra piccola squadra sanitaria è per le 8. L’autista con l’auto arriva alle 8,15. Si prende un caffè insieme; si carica l’auto con le borse, gli scatoloni, i contenitori per i vaccini, … e quando ci si avvia sono già le 9. Attraversando la città di Sololo, ci sono le mille piccole incombenze. La nostra è l’unica auto che periodicamente e con regolarità si reca in ogni villaggio. Ognuno l’aspetta per programmare le proprie piccole, urgenti necessità. Non si può negare la risposta ai vari saluti che si ricevono percorrendo le stradine a passo d’uomo. Ogni saluto africano dura da solo alcuni minuti. A quest’ora è tanta la gente che si muove e che quindi si incrocia. Tanta gente; tanti saluti; tantissimi minuti. Quindi c’è il mezzo sacco da portare a qualcuno del villaggio ove siamo diretti. Non è possibile negare il favore quando si conosce quale forza cocente abbia il sole che implacabilmente ti accompagna mentre arranchi sotto il suo peso; peso ed ingombro ridicoli per una macchina, anche se vecchia. Quel sacco contiene cibo: granturco; qualcuno lo sta aspettando da giorni per vivere. Quindi c’è sempre qualche donna con il bambino sul dorso che ti aspetta per chiederti un passaggio che risparmierà al suo piccolo ore di viaggio a piedi. Lasciato Sololo, lungo la strada, lo stesso cerimoniale continua a ripetersi con coloro che, intrapreso il viaggio, non credono ai loro occhi vedendo nella nostra auto un’occasione insperata.

Questo è il loro costume; in questo occorre inserirsi per ottenere quella fiducia e serenità di convivenza che risulta indispensabile per non vivere qui da neo-colonizzatori. Occorre dimostrare che il bianco non è solo un turista od un colono che loro vedono come il giusto “pollo” al quale rifilare qualsiasi microtruffa faccendola passare come “oggetto originale” del povero “negretto” così come è disegnato negli stereotipatici preconcetti.

Alle ore 11 finalmente siamo al villaggio, Fatto il giro dello stesso con il fuoristrada che richiama le mamme con il clacson, ci si ferma sotto il solito albero ad aspettare. Si chiacchiera e si scherza con chi passa e con le prime donne che arrivano alla spicciolata. E’ quasi l’una quando iniziamo la lezioncina educativa al gruppo delle mamme che finalmente si è raccolto numeroso. Segue il rituale del controllo del peso dei bambini che, uno ad uno infilati in un sacchetto di plastica, vengono appesi alla bilancia, legata ciondolante al ramo di un albero. Nel frattempo vengono ritirate le “cartelline cliniche individuali” che ogni mamma gelosamente conserva nelle loro foderine di plastica e si passa così alla registrazione dei piccoli pazienti. A questo punto vengono praticate le vaccinazioni nel crescendo di un concerto fatto di pianti e bisbigli, urlati al fine di tranquillizzare. Ora le mamme, una ad una si allontanano con il loro pargolo, mentre c’è sempre qualcuno, a macchina ricaricata e pronta per ripartire, che trova finalmente il coraggio per riferire i propri sintomi, aggiungendo sottovoce che però non ha i pochi scellini necessari. Così si tornano a riaprire le borse … Finalmente, tutto a posto si riparte. Si è subito fermati da chi chiede un passaggio fino a Sololo per se e per … qualche suo parente. Per loro nell’auto c’è sempre un posto libero, anche quando sembra che stia per esplodere dal carico. Arrancando sotto il sole sulla verticale, si riprende il viaggio di ritorno. Se non avvengono le consuete forature delle gomme esposte all’attacco delle spine di acacie, si arriva a casa.

Stanchi ed anche un po’ snervati dal continuo valutare ciò che è accettabile da ciò che non lo è in questi loro comportamenti. Comportamenti di sovente primitivi nelle apparenze e sempre profondamente umani se letti alla luce della loro cultura tradizionale. Una enormità di energie che vengono investite per riuscire ad offrire, forse, neppure il minimo indispensabile. Dio mio!