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Così descrissi il mio primo parto che dovetti assistere sulla pista:

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Prima o poi avrebbe dovuto succedere ed è successo. Non mi ero ancora ripreso dall'emorragia di una puerpera che già iniziava la seconda incredibile avventura. Chiamano padre Pio per prendere con l'auto una partoriente in travaglio già da più ore in un vicino villaggio. Normale amministrazione.

Sono le dieci di sera e la luna è quella giusta in crescita. Eppure qualcosa mi avverte che non è la solita routine. Aspetto ansioso l'arrivo della paziente. E' giovane, non molto alta, primipara con storia di precedenti aborti non ben precisati, se spontanei o procurati, stante ... E' sofferente per le doglie e le contrazioni sono molto ravvicinate. Alla visita risulta che le membrane sono rotte ed è presente abbondante meconio di un nero piceo. La cervice è dilatata intorno ai sei cm e non pare vi sia sproporzione tra il bacino della madre ed il bambino che non sembra essere molto piccolo. Il vero problema è la posizione del nascituro: di podice con braccia in alto.

Giudico il tutto sufficiente per essere ad alto rischio con indicazione al parto naturale se acompagnato dalla sicurezza di potere praticare il cesareo di urgenza, qualora si manifestasse l'improvvisa impossibilità a procedere naturalmente. La nostra sala operatoria non è ancora completa e tanto meno mi sento pronto io. Decido con la suora ostetrica che la cosa migliore sia il trasferimento all'altro ospedale. Parto, dunque, con P.Pio alla guida della Land Rover e con una infermiera. Ci aspettano 170 Km; non meno di due ore e trenta minuti su di una orribile pista di corrugazioni; dovendo anche attraversare il tratto battuto dai predoni. Non c'è tempo per andare a chiedere la scorta dei militari. Si parte tra le urla di dolore della donna e le continue esortazioni dell'infermiera affinchè trattenesse di spingere il bambino.

Viaggio allucinante. I miei pensieri vagano scoordinati tra il ripassarmi le manovre di assistenza al parto podalico complicato ed il conteggio dei Km percorsi e di quelli da percorrere, facendo improbabili calcoli per arrivare in tempo utile. Almeno per salvare la mamma. Quando la ruota posteriore destra si è bucata, le mie speranze si sono ridotte a quasi zero. Intanto che P. Pio sostituisce la gomma ed il tempo vola, cerco di posizionare un'altra flebo per garantirmi nell'emergenza. Ripartiamo finalmente, ... con l'auto infestata da moscerini, farfalle notturne e zanzare di ogni tipo, attratte dalla luce della cabina rimasta accesa durante la sosta. Luce indispensabile, sia per l'assistenza che per tenere lontano il re della savana, la cita e gli altri animali tutt'altro che innoqui.

Padre Pio mio mi chiede cosa sto pensando. I miei calcoli, anche i più ottimistici, sono saltati tutti. Non so rispndere. Forse prego; forse mi chiedo perchè mi trovo in una simile situazione da incuo. Cosa ci faccio io qui, di notte, in mezzo al deserto ? Perchè sono qui ? Intanto le urla della donna si fanno sempre più forti; il suo aggrapparsi all'infermiera, il suo puntare le gambe contro il soffitto dell'auto e subito, stremata, lasciarsi cadere per nuovamente ricominciare ad accartocciarsi, ... da la sensazione di trovarsi in un girone infernale. Le mie budella sono arrivate in gola. La pista interminabile squarciata dai fari; il frastuno dell'auto che Padre Pio lancia oltre ogni ragionevole sicurezza, non è un film, è una realtà incredibile; una realtà vera. Ho anche pensato: e chi mi crederà mai?! Ma il bello deve ancora arrivare.

Al culmine di questa tragica realtà, il bambino inizia ad uscire. Il tempo di fermare l'auto e la prima parte del parto podalico, quella in cui l'assistenza deve essere fatta solo stando a guardare con le mani dietro alla schiena, era già avvenuta. Ora il bambino è incastrato con le spalle, poi lo sarebbe stato con la testa. Sbloccato il cordone dalla compressione provocata dal bambino stesso, ho trovato la spalla destra; poi l'omero, l'ho abbassato e ruotato ilcorpo. Ripetuta la manovra controlaterale e disimpegnato le spalle. Ora è la volta della testa. Le due dita della mia mano sinistra si sono trovate subito nella bocca del bambino; ma adesso è l'asse di legno che funge da letto che non mi consente il corretto proseguo. Non so se siano stati i movimenti iconsulti della donna o se è stata la mano di Qualcunaltro, dopo pochi secondi anche la testa è fuori. Il bambino flaccido, inerte, non da più segni di vita. La sofferenza fetale, non tanto del parto, quanto del lungo travaglio, mostra ora i suoi tremendi effetti.

Immediato il massaggio cardiaco, la liberazione delle vie aeree e la ventilazione con maschera e palloncino Ambu. Il cuore ha ripreso immediatamente ed il suo icto era visibilissimo alla luce della torcia elettrica; ma nulla da fare per il respiro. La madre, aiutata dall'infermiera intanto completa l'espulsione della placenta e nei suoi occhi, fissi sul corpicino inanimato e su quelle strane cose che sto facendo, si legge il dolore e la disperata disillusione. Non può finire così; non è giusto. Continuo senza più alcuna speranza ad iniettare farmai e a ventilare. Quel cuore non si ferma; ma neppure il respiro riprende il suo ritmo spontaneo. La mia mente fruga in ogni angolo del suo archivio per cercare cosa altro sia possibile fare. Poi, all'improvviso una sola luminosa idea: il battesimo. Che idea ?! A me serve ben altro ! Eppure mi viene automatico dire a Padre Pio: battezzalo perchè non c'è più nulla da sperare. Ancora qualche momento per trovare l'acqua; poi il rito e poi sarebbe stato il momento di cessare ogni manovra rianimatoria. Anche questo ultimo tremendo momento è alla fine giunto inesorabile.

Quando stacco la maschera non so più se sto piangendo o soffocando per un grosso nodo che mi stringe alla gola. Poi un debole rumorino ed un sussulta della piccola gabbia toracica. Subito dopo un altro ancora mentre guardo alibito negli occhi lucidi lo sguardo radioso di Padre Pio, che sta allungando il collo da dietro per trovare lo spazio, tra la portiera e la mia spalla, per riuscire a vedere questo suo nuovo cristiano. Ho ripreso a sostenere la respirazione mentre dentro sento chiara la sua piccola voce ripetere: aspettate, sto arrivando, eccomi ... Staccata la maschera ora il rumore si è fatto un vagito quasi completo. E' solo a questo punto che la madre si accorge. Incredula ha incrociato il mio sguardo; ma è vero ?! Poi un sorriso radioso nel quale c'è tutta la gioia del mondo. E' vivo.

Sono attimi questi in cui si misura la potenza dei sentimenti e la frza indomita della Vita. Dio grazie, sono le sue, della mamma, ... di professione, prime parole e le nostre. Ora mentre l'infermiera lo avvolge meglio nel golfino di Padre Pio, che era servito da culla termostatica, i miei muscoli si rilassano e la gioia sale dalla punta dei piedi a quella dei capelli. Se fossi stato in Italia, certo e sarebbe stata la prima volta, sarei andato ad ubriacarmi con Padre Pio. L'unica cosa possibile qui, è una ricca funzione fisiologica che scarica l'adrenalina spremuta in queste ultime ore dai miei surreni. Torcia puntata in avanti ad evitare l'arrivo di sgraditi ospiti ed occhi, anora increduli, fissi sulle fitissime stelle di questo stupendo cielo africano ... e Padre Pio, non molto lontano, sta facendo altrettanto. Girata la macchina si è ripresa la strada di casa. La mia mente rivive allora ognuno degli attimi appena trascorsi.

Non riesco a capire ciò che è stato: sogno o realtà ? Come hanno fatto le mie mani a trovarsi nel punto giusto nel momento giusto ? Come ho fatto ad eseguire manovre che quando le avevo lette a suo tempo neppure le avevo ben comprese; non mi capiterà mai ... pensavo. All'improvviso tutto mi si chiarisce. Il parto è avvenuto alle 0,30 del 1 aprile 1987; il primo aprile ! Mi rivolgo a Padre Pio: a mio parere il Buon Dio ci ha fatto il pesce; ci sta sfottendo.

Questo ed altro che si sente, che si vive o che non è traducibile in parole, è un'incredibile, autentica, misteriosa Verità. Sono certo che se qualcuno leggesse questa cronaca sulle pagine di un nostro quotidiano, non può che pensare ad un cronista con buona fantasia e tanta melissa, trita retorica di "vita africana". Pertanto, sto scrivendo solo per il dovere di testimoniare agli amici che, con il loro aiuto concreto e di preghiere, ci è stato consentito anche questo: " il primo aprile, in piena savana, grazie a Dio, è nato un figlio ."

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Per la cronaca: oggi il ragazzo ha 18 anni ed è il primo della sua classe a scuola.

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